Da un dialogo tra Pietro Parolin e Luca Coassin

Fotografia, a livello etimologico, è una parola formata da due termini greci: φῶς e γραφή, ovvero phos/luce e graphé/scrittura. Fotografia significa scrivere con la luce o, se vogliamo ampliare il concetto, dipingere con la luce. Questo è particolarmente vero quando si parla del ruolo del Direttore della fotografia in un film.

Chi è il direttore della fotografia e che cosa fa?

Il Direttore della Fotografia – chiamato comunemente DOP (Director of photography) è una una figura molto importante nel mondo della cinematografia. Solitamente è quello che si occupa della luce, o meglio degli effetti della luce, sul girato e sulla resa di un film.  Il Direttore della fotografia è colui che, assieme al regista, decide e determina il tipo di luce da usare in una scena e come illuminare quella data scena. Si tratta di una figura fondamentale all’interno di una troupe cinematografica.

Diventare direttore della fotografia

Ci vuole una particolare passione per l’immagine, in generale, oltre che per la fotografia per diventare un vero e proprio DOP e lavorare nel mondo del cinema o anche della pubblicità. Prendendo come esempio la carriera di Luca Coassin, possiamo dire che si diventa Direttore della fotografia passando attraverso delle fasi successive. Parlando di lui, Luca ha iniziato, in primis, proprio a fotografare il mondo. Gli fu regalata una macchina fotografica che divenne una sorta di compagna dei momenti della propria quotidianità. Figlio di un pittore, Luca Coassin ha sempre avuto davanti agli occhi la luce come strumento per comunicare. Per questo motivo, dopo aver visto un film come Miracolo a Milano (Vittorio De Sica, 1951), decise che il cinema e la luce sarebbero stati l’elemento chiave della sua vita professionale. Chiunque voglia fare del cinema, nel nostro paese, deve passare per il Centro Sperimentale di Roma, e così è stato anche per Luca. 

Un momento chiave, nella vita dei Direttori della fotografia che lavorano al giorno d’oggi e che hanno una buona esperienza alle spalle è stato il passaggio dalla pellicola al digitale. I Direttori della fotografia abituati a lavorare con la pellicola hanno visto nel passaggio al digitale una sorta di opportunità di miglioramento generale. Una sorta di nuova vita per una professione che, tecnicamente, richiede molto in termini di formazione, dedizione e precisione.

Come lavora un direttore della fotografia?

Il Direttore della fotografia è il primo collaboratore del regista. Un film si vede e si sente: il regista è il direttore d’orchestra, il Direttore della fotografia è il responsabile visivo dell’apparato della macchina da presa. Il DOP, generalmente, è colui che gestisce uno dei reparti più corposi della troupe.

Un tempo, con la pellicola, il direttore della fotografia era l’unico che poteva prefigurarsi il risultato finale di un film, di un’inquadratura. Col digitale, tutto è diventato più immediato ma prima la responsabilità era maggiore. Possiamo definire il direttore della fotografia come un vero e proprio veggente. Sua è la visione globale, sua partitura visiva di un’opera cinematografica. Il direttore della fotografia, infatti, legge la sceneggiatura e già si immagina la scena. Ancora prima di regista e attore. Il regista, dal canto suo, ha timore a volte nei confronti del direttore della fotografia proprio per le sue capacità tecniche. 

Malgrado questo, il direttore della fotografia resta un elemento da dirigere, proprio come un attore. Egli è interprete del proprio regista, del suo pensiero e dell’immagine che il regista stesso ha in mente. Regista e direttore della fotografia danno vita quindi a un binomio vincente capace di generare grandi opere, grandi immagini e, di conseguenza, grandi film. 

Quali sono gli elementi che hanno maggiore impatto nel lavoro di un direttore della fotografia?

Un film, uno spot pubblicitario e il Cinema d’Azienda sono come dei puzzle, di varia entità e di varia dimensione. Il lavoro del direttore della fotografia – a prescindere dal prodotto di cui stiamo parlando – inizia ancora prima che ci siano i reading del copione o le prove dei costumi. Il lavoro del direttore della fotografia ha il suo punto di partenza con la visione e lo studio delle location. È proprio dall’esame visivo di un luogo che si comprende il tipo di luce da usare, come sia meglio predisporre l’inquadratura. 

Il direttore della fotografia e il regista lavorano insieme leggendo, in primis, la sceneggiatura. Lo script – come viene comunemente chiamato in ambiente cinematografico – contiene tutte le informazioni su come realizzare le scene. Ciò che a teatro erano le stage direction dell’autore, nel cinema o comunque nel mondo delle riprese video, la parte “del padrone” è della sceneggiatura. Dopo la lettura, inizia la parte vera e propria di preparazione delle scene. 

Cosa cambia nel lavoro di un direttore della fotografia in pubblicità rispetto che nel cinema per il grande schermo?

Il mondo della pubblicità è, essenzialmente, più dinamico e ha ritmi diversi. La cosa che accomuna la pubblicità e il cinema è il fatto di poter trovare degli spunti narrativi ovunque.  

Per questo motivo, spesso – anche attraverso l’utilizzo di un prodotto promozionale come il cinema d’azienda – si dà un sapore cinematografico alla pubblicità. I tempi di lavoro di uno spot sono più stretti, i ritmi sicuramente più frenetici e la sceneggiatura va diluita in uno spazio ristretto. A livello produttivo l’approccio è lo stesso. L’impegno è addirittura maggiore perché cambiano i tempi. 

Qual è la parte più difficile del lavoro del direttore della fotografia?

La parte più complicata nel lavoro del direttore della fotografia è data da tanti elementi.
In primis, sicuramente, il make-up. Il ruolo del trucco è cambiato molto col passaggio dal digitale è diventato molto più difficile adattare il trucco di un attore alla resa scenica in video. L’effetto fake è sempre pronto dietro l’angolo.  

La parte comoda del lavorare in digitale sta nel fatto che si possono ripetere e rifare le scene con maggiore agio. La pellicola imponeva infatti un rigore e un’attenzione maggiore, proprio perché il materiale base del film costava molto. La pellicola insegnava il valore intrinseco della disciplina. E, aggiungiamo, anche il senso di appartenenza alla grande famiglia che, sul set, si chiama troupe.

Non importa che si realizzi uno spot di un minuto o un film di due ore: l’eccellenza è sempre richiesta.

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